Costruire una comunità attraverso lo sport, per vivere una Chiesa in uscita e aiutare le persone in difficoltà. Questo è l’obiettivo di Athletica Vaticana, l’associazione sportiva ufficiale del Vaticano.
Ne abbiamo parlato con il Presidente Giampaolo Mattei.
Come nasce Atletica Vaticana?
Athletica Vaticana nasce sui lungotevere di Roma e intorno a San Pietro: tra dipendenti vaticani ci s’incrociava prima dell’alba a correre e poi, qualche ora dopo, sul posto di lavoro. Perché non condividere la nostra passione sportiva per costruire un’esperienza insieme, provando a dare una mano alle tante persone povere? La Segreteria di Stato ha dato un quadro giuridico ad Athletica Vaticana affidandola al Pontificio Consiglio della Cultura. Non c’era alcun bisogno di costituire ufficialmente in Vaticano un’associazione per fare sport: la medaglia da vincere è quella di essere una comunità che testimonia e si dà da fare in concreto per gli altri, attraverso lo sport.
Anche lo sport può essere vissuto con spirito evangelico?
Come Athletica Vaticana ci crediamo tanto da averci “scommesso”! Il gesto “sportivo” del Papa di firmare, il 29 maggio, il testimone della staffetta che abbiamo consegnato, il 5 giugno, alle amiche e agli amici dei Piccoli Stati d’Europa credo esprima bene questo “servizio” che, con umiltà e consapevole dei propri limiti, cerca di vivere Athletica Vaticana. Su quel testimone (di colore bianco) c’è scritto, in latino, Simul Currebant. Una espressione che sta diventando un po’ il nostro “motto”. Si trova nel Vangelo di Giovanni (20, 4): Pietro e Giovanni corrono insieme – “simul currebant” – al sepolcro la mattina della Risurrezione. Giovanni, più giovane e veloce, arriva prima ma si ferma e attende il più anziano Pietro e gli cede il passo. Come ha detto Papa Francesco ad Athletica Vaticana, il saper andare “al passo del più lento” dovrebbe essere oggi più che mai un atteggiamento che vale per tutti gli ambiti sociali. Aggiungo che quella mattina di Pasqua a Gerusalemme, circa 2000 anni fa, correvano tutti: le donne che trovano il sepolcro vuoto corrono a perdifiato per avvertire gli apostoli e, appunto, Pietro e Giovanni corrono insieme verso il sepolcro… Si potrebbe dire che Athletica Vaticana è nata quel giorno, di corsa… come il cristianesimo…
Lo sport può essere un’opportunità per vivere una “Chiesa in uscita”?
Mi permetto risponderti con l’incoraggiamento che, il 29 maggio, Papa Francesco ha rivolto spiegando le ragioni di un’associazione sportiva costituita in Vaticano: “La Chiesa ha a cuore tutto ciò che riguarda l’uomo”.
Quale contributo può dare lo sport alla cultura dell’incontro?
Lo sport ha un linguaggio universale a tutti comprensibile. Possiamo immaginare un gruppo di ragazzini che parlano lingue diverse ma che sanno benissimo intendersi, divertirsi e fare amicizia semplicemente con un pallone. Senza voler andare a ricordare le origini delle Olimpiadi, che fermavano persino le guerre, è esperienza pratica che lo sport – quello autentico – consenta di superare barriere e pregiudizi.
Se possibile, ci potresti parlare del rapporto con Papa Francesco? Immagino che il Papa vi segua con attenzione e vi faccia sentire il suo incoraggiamento.
Mi permetto una battuta, che poi lo è fino a un certo punto: consideriamo Papa Francesco il nostro… “coach” spirituale. Con umiltà, e consapevoli dei nostri limiti, cerchiamo di portare una testimonianza cristiana tra le donne e gli uomini di sport per essere davvero “fratelli tutti” anche attraverso lo sport. Nell’intervista alla Gazzetta dello Sport, lo scorso 2 gennaio, il Papa ha affermato che dalla “sua” squadra si aspetta che sia comunità e che dia una testimonianza.
Quali sono state e quali saranno le attività di Atletica Vaticana?
“Non corriamo e basta” è un’espressione che ci caratterizza. Sport e solidarietà, in un’esperienza di fede, dunque. Ma non a parole o con teorie campate in aria. Athletica Vaticana ha un piccolo ma agguerrito team paralimpico. Abbiamo composto la “preghiera del maratoneta”, tradotta in 37 lingue, e cerchiamo di essere a “servizio” – parola fondamentale – per creare “ponti” tra le persone e le diverse realtà. Insomma non si corre e basta, appunto! Ci piace pensare che i nostri compagni di “allenamento” e di crescita personale non siano solo gli amici sportivi ma anche le famiglie povere assistite dal Dispensario pediatrico vaticano “Santa Marta”.
Negli ultimi anni, in alcuni ambienti dello sport, si è diffusa purtroppo una mentalità che conduce, a volte, i giovani e i giovanissimi a sentirsi sotto pressione. A volte possono essere perfino i genitori o gli allenatori a creare questa pressione, questa mentalità del vincere ad ogni costo. A volte si vive un’esasperata ricerca del “campioncino”. Ma lo sport è bello anche quando si arriva ultimi e c’è bisogno di viverlo con spensieratezza. Che cosa si può fare per ritrovare il senso più vero dello sport, che a volte si rischia di perdere?
Siamo convinti che, come suggerisce il Papa, chi vince sempre non sa cosa si perde! E che, come testimonia Jury Chechi, campione olimpico di ginnastica, è sempre meglio una sconfitta pulita di una vittoria sporca. Del resto una vittoria – nello sport come anche nella vita – è il mosaico di tante sconfitte. Senza pretese di impartire lezioni, Athletica Vaticana cerca di testimoniare tra gli sportivi una cultura della fraternità che prevede, certamente, di allenarsi per dare il meglio di sé ma vivendo lo sport come un’opportunità umana di crescita e non come esperienza egoista fine a se stessa. Abbiamo constatato che dare a ogni iniziativa sportiva un riferimento solidale concreto è come un completamento di uno stile sportivo autentico.
Vorrei concludere con una domanda personale: c’è qualche momento di questa tua esperienza con Atletica Vaticana che porti nel cuore? Una storia, un incontro, una cosa bella che vorresti condividere con noi?
Varrebbe la pena raccontare ogni storia! Ma sarebbe riduttivo definire semplicemente “bella” l’esperienza di correre la “Via Pacis” per le strade di Roma – il percorso accarezza i luoghi di culto delle diverse religioni – con i ragazzi della Moschea e gli atleti della Sinagoga. Così come non possiamo dimenticare le lacrime di Buba, 20 anni, scappato dal Gambia e sbarcato a Lampedusa, quando il cardinale Gianfranco Ravasi gli ha consegnato la maglietta con lo stemma pontificio come atleta “onorario”. Venduto tre volte dai mercanti di schiavi, che non lo hanno certo trattato coi guanti, Buba è scoppiato in un pianto di gioia, speranza… Con un particolare: è musulmano. E poi il sorriso di Sara Vargetto, una ragazza di 13 anni che sulla sedia a rotelle partecipa a tantissime gare. Siamo convinti che a spingerla siamo noi… e fisicamente è così. Ma in realtà è Sara, con il suo sorriso sempre e comunque, anche quando il dolore è più intenso, a spingerci tutti. Qualcuno la definisce la “mascotte” di Athletica Vaticana. Personalmente credo che Sara, con il suo sorriso contagioso, ne sia l’icona.
Intervista a cura di Carlo Climati
Per ulteriori informazioni si può visitare il sito di Athletica Vaticana:
https://www.athleticavaticana.org/