Oggi la bioetica si trova dinanzi a questioni sempre più complesse che sfuggono ad una analisi immediata. Essa ha a che fare con situazioni in cui il perseguimento dello scopo clinico o di ricerca offre a volte una pluralità di strade che attraversano dei soft border. L’esercizio critico si fa per questo più specialistico in quanto deve confrontarsi con profonde e impreviste trasformazioni tecnologiche le cui conseguenze sono difficilmente prevedibili.
In questo senso, la riflessione intorno alla vita e agli interventi di qualunque tipo che la riguardano è ancor più necessaria. Il suo compito non è porsi in maniera escludente, ma accompagnare e integrare il cammino delle scienze bio-mediche, sottolineando e cercando il benessere e la fioritura del paziente in una prospettiva personalista.
Il signor X si rivolge ad uno specialista perché avverte una fastidiosa protuberanza nel naso. Il medico ne consiglia l’asportazione e dispone l’esame istologico. I risultati evidenziano un carcinoma sul quale occorre intervenire per scongiurare nuove future formazioni. L’equipe, composta tra gli altri da un oncologo, un otorinolaringoiatra e un radioterapista pone all’attenzione del paziente questi dati: non c’è alcun dubbio sul fatto che serva un nuovo percorso terapeutico, ma ci sono due possibilità che il paziente dovrà considerare.
Il signor X sarebbe propenso per la prima opzione perché non vuole sentire parlare di possibili rischi, ma teme l’intervento e, quindi, decide di affidarsi ai medici per sapere cosa è meglio per lui. L’equipe è concorde nell’affermare che la strada chirurgica e quella radioterapica sono in qualche modo equipollenti anche se la prima è più radicale nell’escludere nuovi pericoli.
«Ma in che percentuale rischio in futuro se mi sottopongo alla radioterapia ?», chiede il signor X.
«Difficile dirlo», la risposta.
Come si comprende, nella decisione non sono in gioco soltanto aspetti clinici ma anche emotivi, legati alla possibilità del paziente di affrontare l’eventuale cambiamento fisico o lo stress derivante dalle numerose sedute di radioterapia. A chi è demandata la responsabilità della decisione ultima che si delinea anche come moralmente rilevante? Quali elementi occorre tener presente? Cosa qualitativamente pesa di più: il rischio paventato o la possibilità che il paziente, percependosi cambiato nel proprio aspetto, sviluppi un malessere psichico e non si accetti? In che modo l’equipe può accompagnare il paziente nella scelta? Quale è l’atteggiamento corretto nel presentarla e quali sono le accentazioni da utilizzate?
È questo un caso non particolarmente hard che tuttavia pone degli interrogativi a entrambe le parti in causa. Il motivo è che le soluzioni proposte non sono distanti dal punto di vista clinico, non differiscono, ma implicano dei correlati importanti e, in ogni caso non secondari per il benessere generale del paziente.
Qui entrano in gioco diversi elementi che interessano la riflessione bioetica:
La sensibilità bioetica contemporanea si è lasciata alle spalle da tempo la netta separazione (per certi versi confortante) tra scienze esatte e scienze valoriali, scienze dei fatti e scienze dello spirito. In un approccio olistico, scienze mediche-biologiche e riflessione etica proseguono su un medesimo cammino perché molto si è compreso del fatto che il paradigma terapeutico non è un’astrazione, non si trova fuori dell’esistenza, ma è una modalità di promuovere il benessere e la fioritura dell’uomo. In bioetica, quindi, non si tratta di analizzare ciò che eccede il campo strettamente clinico o biologico, ma di integrarlo con domande ben poste e soluzioni equilibrate. Ciò vuol dire occuparsi dal di dentro in maniera critica di tutto ciò che ha a che fare con l’intervento sulla vita e sulla salute. In questo senso, il suo campo teorico gode di flessibilità, deve tener conto delle sollecitazioni che provengono dai cambiamenti bio-tecnologici e più in generale della dialettica malattia-salute, della relazione medico-paziente, della concezione antropologica della cura, dei trapianti, della genetica, della palliazione, delle sperimentazioni e delle grandi questioni di frontiera (inizio e fine vita).
Il caso del signor X rappresenta plasticamente ciò che accade ogni giorno in modalità sempre più complessa, a livelli sempre più sofisticati nell’incontro tra scienze della vita, medicina e tecnologia. Ciò non riguarda soltanto l’esercizio terapeutico, ma anche l’universo della ricerca che a volte ha logiche proprie e non di rado autoreferenziali nonostante l’istituzione ormai condivisa della figura dell’Ethical advisor. Parafrasando Nikolas Rose, la biomedicina guarda la vita con un altro occhio, ad un livello differente, che è quello molecolare, delle sue proprietà, delle variazioni che regolano i meccanismi e la trascrizione delle informazioni genetiche. In questa prospettiva, i confini etici si fanno sempre più labili, le questioni valoriali più settoriali e frammentate e per questo essenziali.
Ci si trova, cioè, sempre di più dinanzi a problemi di soft border, soft in quanto hanno a che fare con situazioni nelle quali il bene o il rischio non sono immediatamente visibili, ma necessitano di una riflessione maggiore, tenendo conto delle implicazioni valoriali delle azioni, dei suoi correlati e delle sue subordinate.
La velocità delle nuove acquisizioni (ad esempio l’AI) richiede altrettanta rapidità critica non necessariamente oppositiva, ma tale da suggerire il suo impiego al servizio del benessere della persona e nello sforzo di perseguirlo pur tra mille risvolti.
Si pensi alla “rivoluzione genomica” e al dibattito intorno ai test genetici e alla medicina predittiva o a quella preventiva rispetto alla volontà o all’indicazione di sottoporsi ad interventi invasivi pur in presenza di dubbi riguardo alla penetranza e all’espressività della patologia. Il rischio che si corre è quello di rimodellare la vita dal suo interno, inseguire timori non clinicamente fondati e trasformarsi da pazienti in consumatori. In questo senso, la riflessione non può non allargarsi ad altri campi come al rischio della mercificazione del corpo, del mercato delle preferenze e della soddisfazione dei bisogni irrazionali soggettivi.
Non “Puoi, dunque devi”, ma “Puoi, dunque valuta cosa è bene fare”.
L’accrescimento del potere tecnologico aumenta la spinta ad agire responsabilmente e perseguire il bene ontologicamente fondato nella persona e la sua inviolabilità che rimane imprescindibile per lo sguardo del medico e del ricercatore. Si tratta del bene del paziente, del miglioramento e non della contrazione della vita intesa nei suoi aspetti cognitivi, spirituali e valoriali. Essere responsabili è rispondere alla relazione di cura che in una visione non puramente contrattualista equivale a coniugare individualità e socialità, particolare e generale, bisogno di accompagnamento e autonomia.
La riflessione bioetica è, quindi, un campo aperto nel quale entrano in gioco le sfide tecnologiche della contemporaneità. Essa deve essere sempre più esercizio critico verso il modo in cui la tecnologia la modifica e la presenta, deve essere capace di vedere i confini delle azioni mediche che sono fondamentali per il presente e il futuro della concezione stessa dell’uomo e della cura. La bioetica ha il compito di accompagnare il percorso delle scienze della vita e dei possibili interventi su di essa mettendo in guardia da ogni rischio di disumanizzazione e negazione della realtà fondamentale della persona e dei suoi valori fisici e spirituali.
Prof. Antonio Scoppettuolo
Docente a contratto di Metodologia medico-scientifica e scienze umane di base: modulo di Bioetica in UER